Lavori Insieme


mercoledì, 29 dicembre 2010
Cenerentola d'inverno di Giusy, Lilli e Libera (io)
Ecco a voi un altro racconto a sei mani e tre teste, sempre ospitate ed incoraggiate da Juneross, con Giusy e Lilli, abbiamo scritto un raccontino natalizio, delicato e romantico. Spero che vi piaccia...

"CENERENTOLA D'INVERNO"


Valle d'Aosta, 23 Dicembre 2008

Stretta nel suo giubbotto nuovo, Bianca guardava mesta la tabella degli orari dei bus, mentre la neve cadeva in fiocchi leggerissimi. Quel cartello sbiadito dal tempo parlava chiaro: fino all'indomani mattina non c'era modo di raggiungere Pila. Cosa avrebbe fatto? Lo sapeva che non doveva lasciare Ivrea e i nonni, ma avevano tanto insistito...
Saperti per quattro giorni contenta e senza pensieri è il più bel regalo che tu possa farci
Sorrise al ricordo delle parole di nonna Gemma, che aveva accolto il viaggio premio della nipote con maggiore entusiasmo di quanto non ne avesse lei stessa. No che non le facesse piacere rilassarsi in uno chalet tra i monti valdostani, anzi, si riteneva molto fortunata per essere stata sorteggiata quale vincitrice della vacanza che ogni anno la catena di supermercati "Spesa in" metteva in palio tra tutti i dipendenti in occasione del Natale. Doppiamente fortunata a dire il vero, se si considerava che era una semplice cassiera e che vi lavorava solo da pochi anni. Questo non toglieva però, il senso di disagio che provava al pensiero dei nonni...
Ok una cosa alla volta! Bianca si riscosse, doveva essere pratica e pensare a come arrivare a destinazione. La corriera che aveva preso alla stazione aveva esalato l'ultimo respiro, per fortuna nei pressi di quell'autogrill e la cosa migliore ora era trovare un posto dove stare fino all'indomani e, soprattutto, mangiare un boccone. Non era abituata a viaggiare e, temendo di sentirsi male, aveva saltato la colazione, ma un lieve capogiro le disse che era il momento di provvedere e così entrò nel bar dell'area di servizio, avrebbe mangiato e chiesto maggiori dettagli sugli orari. Pregando il buon Dio che quelli affissi fuori fossero vecchi e sbagliati, si accodò alla fila esigua che c'era alla cassa, augurandosi che nessuno sentisse i brontolii del suo stomaco.

Andrea spense il motore della sua jeep, aveva bisogno di un caffè. Il viaggio da Milano non era stato lunghissimo, ma era spossato e stanco dal turno in ospedale del giorno prima. Fino a quel momento non credeva di aver avuto un'idea felice a partire per quel posto sperduto, ma la quiete che lo circondava, la neve soffice e l'atmosfera quasi domestica di quel piccolo autogrill di montagna gli misero addosso nuovo vigore. Proprio non gli andava di passare il Natale in città, la famiglia e gli amici, dalla fine della sua storia con Valeria, lo trattavano quasi come un invalido, come uno che ha bisogno di sostegno e comprensione, e viveva con orrore il senso di compatimento che si sarebbe acuito certamente in quei giorni di festa. Meglio prendere e partire. All'agenzia di viaggio aveva chiesto qualcosa di tranquillo, niente mondanità, e gli avevano consigliato Pila e lo Chalet che si apprestava a raggiungere. A dispetto di quanto pensassero gli altri, non aveva bisogno di dimenticare la donna che stava quasi per diventare sua moglie. No, Valeria non c'entrava nulla, o meglio, non direttamente. Quello con cui doveva fare i conti era il senso di amarezza, sfiducia e delusione che quell'esperienza gli aveva portato. Era passato già quasi un anno, ma niente sarebbe più tornato come prima, lui stesso era cambiato, forse per sempre. Non che fosse stato mai un tipo socievole e ben disposto ai rapporti umani, era piuttosto chiuso e taciturno, ma l'ipocrisia e la falsità di cui quella donna l'avevano trasformato. Abbandonò questi pensieri cupi ed entrò nel bar.
Fortuna che la fila non era troppo lunga, per un caffè al volo, proprio non aveva voglia di stare lì più del necessario. Anche se quell'ambiente gli piaceva, dall'alto del suo metro e 96 scorgeva ogni cosa.
L'angolo con i tavolini era abbastanza deserto, solo due coppie di mezza età che facevano colazione. L'edicola sembrava ben fornita, ma c'era un solo cliente, o forse solo un curioso, a sfogliare le riviste. Buttò uno sguardo al banco dei dolci, indeciso se lasciarsi tentare da una brioche al cioccolato. Il cielo sapeva se non avesse bisogno di serotonina.
Un movimento attirò la sua attenzione, la donna davanti a lui, non faceva che agitarsi, passando da un piede all'altro. Venti secondi dopo quella piccola testa dai capelli castani gli si appoggiò allo sterno, si chiese se non fosse impazzita un attimo prima di accorgersi che quella sconosciuta gli stava svenendo tra le braccia.


Grigio.
Bianca era immersa in un mondo grigio piombo. Inquietante eppure irresistibile.
Allungò una mano come per catturare quelle nuvole plumbee che l'avvolgevano, donandole calore in quella giornata di gelido inverno.
- Signorina. Signorina come si sente? - la voce giungeva da molto lontano, ovattata, densa come cioccolata.
Spalancò gli occhi quando si accorse di essere sdraiata tra le braccia di uno sconosciuto; cercò di alzarsi di scatto, ma quel gesto inconsulto le provocò un ennesimo capogiro.
- Con calma, altrimenti sverrà di nuovo - pronunciò con distacco la voce di prima.
Lentamente si mise a sedere, sempre appoggiata al possente torace dell'uomo; si sentiva piccola e fragile tra quelle braccia muscolose e non riusciva a proferire parola, troppo imbarazzata anche solo per ringraziare l'affascinante sconosciuto che la stava sorreggendo con gentilezza, nonostante lo sguardo gelido.
- Grazie. Posso farcela - sussurrò con coraggio, cercando di alzarsi con il suo aiuto.
- Ha mangiato? E' troppo magra. Non sarà una maniaca delle diete? - domandò, fissandola con quegli occhi tempestosi che la rendevano nervosa e confusa.
- Ho...ho saltato la colazione - balbettò imbarazzata da quelle parole inquisitorie.
Andrea la osservò con sguardo clinico. Era troppo magra, avrebbe avuto un bel corpo sano con qualche chilo in più. I capelli opachi erano un sintomo dello stress che stava vivendo. Non riusciva a comprendere perché le donne dovevano rovinarsi la salute con delle diete affamatrici, che servivano solo a renderle dei manici di scopa.
- Solo la colazione? A me sembra che siano parecchi pasti – contestò, poco propenso a passar sopra a quello che considerava un crimine dal punto di vista medico.
A quelle parole Bianca arrossì per la vergogna. La sua naturale timidezza le impedì di replicare, poté solo alzarsi lentamente e cercare di congedarsi da quell'uomo che le metteva tanta soggezione. Solo allora si accorse che erano soli in una specie di ufficio.
- Dove siamo? - chiese perplessa.
- Negli uffici dell'autogrill - replicò laconico.
Lo fissò turbata non sapendo come affrontare quel gigante che torreggiava su di lei.
- Gra...gra...grazie per avermi socco...soccorso - riuscì a dire tremando.
- Dovere. Sono un medico non potevo certo lasciarla a terra - rispose Andrea con indifferenza - Deve mangiare qualcosa immediatamente, altrimenti le accadrà di nuovo - ordinò con durezza e nel frattempo le prese un polso per controllare le pulsazioni, che accelerano a quel tocco delicato.
Un medico. Bianca sospirò di sollievo. Ecco spiegato il suo atteggiamento arrogante e il motivo delle sue caustiche parole.
Sorrise per la prima volta e il suo viso s'illuminò come un albero di Natale. Andrea s'irrigidì a quella vista; non voleva trovarla carina. Era una donna. Anzi poco più di una ragazzina e pertanto portava solo guai e dolore. Ormai per lui era un'equazione matematica.
- Non sono a dieta. Ho solo saltato la colazione e visto che la corriera si è fermata qui, stavo per andare a farla - spiegò Bianca non volendo che pensasse male di lei.
- Allora andiamo, altrimenti il suo autobus partirà lasciandola qui - la invitò per poi girarsi verso la porta dando per scontato di essere seguito.
- L'autobus ha avuto un guasto. Io...sono bloccata qui...almeno fino a domattina. Stavo andando in vacanza a Pila al Rifugio Le Bear's Den - raccontò con un filo di voce.
Bianca non comprendeva perché si fosse sbottonata tanto; di solito non era così ciarliera, forse sapere che era un medico l'aveva portata istintivamente a fidarsi di lui. Era abituata a trattare con i dottori per via di suo nonno.
Andrea non riusciva a credere alle sue orecchie. La ragazza era ospite nel suo stesso chalet ed era bloccata in quell'autogrill disperso nel nulla.
Dentro di lui una lotta infernale era in corso. Il suo disprezzo per le donne combatteva strenuamente con la sua indole che lo portava sempre ad aiutare il prossimo. Pertanto non si sorprese quando le fece quell'insensata proposta.
- Io sono diretto alla sua stessa meta, se vuole posso darle un passaggio - affermò senza alcuna inflessione, né emozione, quasi fosse una delle tante lezioni che dava ai tirocinanti dell'ospedale.
La ragazza lo guardò titubante, non era nella sua natura accettare passaggi da uomini sconosciuti, ma la situazione era così penosa che non sapeva come comportarsi.
Andrea la fissò insofferente, la sua indecisione era irritante. Era solo scena, ma lui non era più l'uomo che credeva ai giochetti di una donna. Era consapevole che avrebbe accettato.
Bianca era indecisa, da una parte la possibilità di continuare il viaggio nella comodità di un’auto, dall’altra doversi mettere nelle mani di un perfetto sconosciuto.
- Allora? Vorrei partire al più presto – le mise fretta guardando l’orologio stizzito. Forse proprio la sua indifferenza la fece decidere.
- Grazie. Accetto volentieri - rispose la ragazza evitando di guardarlo per l'imbarazzo di quella situazione.
Lui non aveva avuto dubbi che sarebbe accaduto. Anche questa ragazza era disposta a tutto pur di raggiungere i suoi scopi.
- Dott. Andrea Rinaldi - si presentò stringendo la manina affusolata che scomparve nella presa. Tutto in lei era delicato.
Sarebbe stato un lungo viaggio.
- Bianca Marzagli - rispose in un sussurro, arrossendo sotto lo sguardo imperturbabile del medico.


Bianca aspettava al tavolino dove il dottore le aveva imposto di sedersi, mentre lui portava in equilibrio Cappuccino e cornetto per lei, caffè per lui ed una bottiglia d'acqua. Un medico... data l'arroganza doveva essere del tipo importante. Magari un cardiologo o un chirurgo acclamato, di quelli che salvavano molte vite e pochi borsellini.
Sarebbe comico vederlo in veste di cameriere se non mi facesse tremare ad ogni sguardo.
Andrea pensava alla tortura che sarebbe stata il viaggio in auto mentre trasportava al tavolo la colazione improvvisata. Quella ragazzina prima di tutto doveva mangiare e non avrebbe certo ascoltato le sue proteste sulle cose ipercaloriche che aveva comprato. In tasca aveva anche un paio di barrette di cioccolato per dopo. Si era accorto che lo guardava, ma proprio non riusciva a indovinare a cosa mirava. Meglio non provarci neppure, ormai aveva ben compreso che il suo intuito funzionava solo in campo medico, con le donne era un fallimento totale. Avrebbe mantenuto le distanze, senza darle confidenza alcuna. Sicuramente avrebbe scoraggiato ogni approccio.
La vide ingurgitare tutto velocemente, senza proteste e senza moine. Il suo sguardo truce però non si ammorbidì di una virgola.
Bianca si accorse di tremare ancora mentre lo seguiva verso l'auto, sicuramente per la debolezza di prima. Il calore nella jeep la riscaldò anche a livello emotivo, almeno poteva rilassarsi un po'; sperava solo di non vomitare e completare la figuraccia.
Viaggiavano in silenzio. Solo la musica dell'autoradio riempiva l'abitacolo.
Che posso mai dire per rompere il ghiaccio?
Per fortuna almeno è silenziosa.
Non gli darò l'impressione di essere una sciocca se continuo a restare in silenzio?
Il viso del dottore era una maschera di gesso, non trasmetteva nessuno dei suoi pensieri, ma doveva pur averne, no? Magari erano solo pensieri ingiuriosi per lei, una scocciatura per quell'uomo altezzoso e dall'aspetto severo.
Chissà cosa sta macchinando in quella testolina.
Andrea continuava a guidare in silenzio, concentrandosi soltanto sulla strada e sulla musica, finché questa si interruppe per dar spazio al notiziario del traffico.
- ... sono previste varie turbolenze per tutta la zona dello Charvensod, in particolare c'è il pericolo di una forte bufera sulla Strada Regionale SR 18, verso Pila... -
Quelle parole meccaniche rimbombavano nella mente di Bianca, riportando a galla il timore che la sua ingenuità rendeva più forte. Certo quell'elegante Cherokee era stabile e ben attrezzato per affrontare quelle strade e anche un po' di neve. Non aveva lei di certo motivo di dubitarne. Né era così esperta da protestare o chiedere al suo salvatore di fermarsi da qualche parte. Alla paura però difficilmente si poteva dare un freno razionale.
Dopo il notiziario si impensierì, non riusciva più a restare rilassato come prima. La sua auto era perfettamente in grado di sostenere una nevicata, anche se consistente. Non si preoccupava per le parole della giornalista alla radio. Però temeva un contrattempo di qualsiasi tipo, che lo potesse bloccare con lei per un tempo maggiore del previsto.
Andrea notò le sue labbra fremere e si irritò.
Non si starà mica preparando a qualche tipo di scenata?

La neve cadeva sempre più fitta e le funeste previsioni di poco prima, stavano via via assumendo contorni più nitidi e cupi. La visibilità era ridotta al minimo, così come l'andatura dell'auto.
Andrea, concentratissimo alla guida, scrutava pensieroso la strada, diventata ormai un manto ghiacciato e scivoloso e procedeva a passo d'uomo evitando accuratamente di usare il freno. I tergicristalli non facevano in tempo a spazzare via il ghiaccio dal parabrezza che una quantità sempre maggiore vi si deponeva, spinta da un vento che spirava da ovest sempre più forte. Il segnale radio era saltato, così come quello del navigatore.
- Bianca hai un cellulare? Puoi controllare se c'è campo? - chiese Andrea dopo aver verificato l'assenza dal suo e con ben poche speranze di ricevere una risposta affermativa.
Lei tirò fuori dalla borsa il suo telefono e gli disse mestamente – No Dottore...niente campo... -
Non si aspettava nulla di diverso, visto anche il modello vecchissimo che la ragazza teneva tra le mani.
La verità era che quella non era una semplice nevicata, erano nel mezzo di una vera e propria bufera e lo sapevano entrambi.
Bianca era rigida sul sedile, guardava davanti a sé e pregava che non succedesse niente di brutto...voleva domandare qualcosa al dottore, ma non sapeva come formulare la frase senza sembrare terrorizzata. Lui se ne stava in silenzio e lei, se avesse potuto, avrebbe persino evitato di respirare per il timore di dargli fastidio in un momento così delicato.
Fu tuttavia lui il primo a parlare.
- Bianca, io sono costretto a fermarmi...andare avanti con questo tempo sarebbe da incoscienti e non me la sento di rischiare. Mi sembra di vedere una specie di spiazzo sulla destra...ecco lì proprio davanti a te – disse seguendo il suo sguardo
- Si certo...Dottore...ma...ecco vede...per quanto tempo pensa...si insomma...voglio dire...quanto dovremo restare qui? - ecco, l'aveva detto!
- Ti sembra che abbia la sfera magica? Pensi che se avessi saputo che saremmo finiti così mi sarei messo in viaggio? - sbottò lui frenando il più lentamente possibile e arrestandosi nella piazzola.
- Mi scusi...ha ragione -
Andrea lasciò andare le mani dal volante, le nocche gli erano diventate bianche per la presa salda con cui lo teneva e la guardò.
Era pallida, aveva la testa bassa e si tormentava le mani in grembo.
Forse aveva esagerato, rifletté. In fondo quella ragazza non c'entrava nulla, se fosse stato da solo sarebbe andata a finire comunque così e poi c'era da dire che non aveva proferito parola fino a quel momento, quando a un'altra, magari, già sarebbe venuta come minimo una crisi isterica.
L'asprezza di poco prima era stata davvero superflua e, per quanto non fosse incline a concedere sconti al gentil sesso, non era un maleducato e sentì la necessità di scusarsi.
- Bianca...ehm Bianca... - iniziò. - Mi dispiace, sono stato sgarbato. La situazione non è certo bella e nemmeno o ho idea di quanto tempo saremo bloccati qui. Non mi sto giustificando.. - era a corto di parole, poiché stava proprio cercando di fare quello.
Lei alzò la testa e lo guardò. Una lacrima le stava scivolando sulla guancia, ma l'accenno di un sorriso le apparve sul viso.
- Ho capito Dottore...grazie -
- Dai smettila di darmi del “lei”...mi chiamo Andrea – e così dicendo, fermò con l'indice la traiettoria di quel rivolo salato per pentirsene l'istante successivo.
Ma che mi è preso?
Si chiuse in un silenzio raggelante. Non le avrebbe rivolto la parola, se non per lo stretto necessario. Anche se avesse allagato l'auto. Inutile darle speranza di essere riuscita ad intenerirlo, non era saggio fidarsi di una donna.
Bianca non sapeva più cosa pensare. Lo preferiva arrogante e brusco, anche chiuso e silenzioso; almeno non la confondeva con assurda dolcezza. Invece quel gesto pieno di tenerezza ... aveva rimescolato ogni suo pensiero. Non c'era più nulla di coerente nella sua testa.
Il freddo la spinse a rannicchiarsi bene nel cappotto e tutte quelle idee scoordinate, unite alla stanchezza della sveglia antelucana, la fecero assopire.
Andrea se ne rese conto in ritardo e decise di riaccendere l'auto per riportare la temperatura interna a valori accettabili. Non voleva toccarla, ma era pericoloso lasciarla dormire con quel gelo intorno. La scrollò lievemente e le mise in mano una delle due tavolette di cioccolato.
Mangia - era quasi un ordine, anche se il tono era scevro di autorità.
Grazie, ma ... - la interruppe prima che potesse protestare o fare complimenti.
- Fa troppo freddo qui, abbiamo bisogno di più calorie - le spiegò con tono paternalistico.
Appena si accorse che la bufera si stava placando, il medico decise di andare in esplorazione nei dintorni nella speranza di trovare un riparo. Non era sicuro di non perdersi in quel deserto bianco, ma doveva tentare. Il carburante sarebbe finito prima o poi e non avrebbero più potuto arginare il freddo.
- Io scendo in cerca di un rifugio dove ripararci. In questa zona ce ne sono molti, pensati appunto per dare soccorso e calore a chi rischia di perdersi nella neve. Ogni 15 minuti suona 5 volte il clacson in modo che io mi possa regolare evitando di allontanarmi troppo. - le disse senza guardarla. Ma non ricevendo risposta alzò gli occhi dal volante. - Bianca mi hai sentito?
- Sì, ho capito. Suonerò ogni quarto d'ora - confermò. Era impaurita e speranzosa al tempo stesso.
Andrea aprì lo sportello della Jeep con difficoltà, per quanto nevicasse molto meno, il vento restava forte.
Scese barcollando sotto quelle raffiche violente, stringendosi nel cappotto poco adatto a quelle temperature così basse.
Poco prima di fermarsi aveva intravisto un cartello con una freccia che indicava uno di quei rifugi di montagna che usavano scalatori, cacciatori e coloro che rimanevano bloccati sulla montagna da nevicate improvvise e violente; sperava che indicasse la giusta direzione e non fosse stato spostato dal mal tempo.
S'incamminò sprofondando nella neve, attento ad ogni passo, con il timore di finire in qualche buca nascosta da quel manto innocente ma pericoloso. Si voltò per da un'ultima occhiata all'auto, e vide il viso preoccupato di Bianca fissarlo con intensità.
Riprese il cammino con la speranza che fosse la direzione giusta, anche se non riusciva a togliersi dalla testa lo sguardo preoccupato di Bianca.
E' preoccupata per me? Oppure solo di ritrovarsi sola nella tormenta? E comunque perché dovrebbe essere in pensiero per quello che potrebbe capitarmi? Di sicuro è in pena per se stessa, spaventata dall'eventualità di dover affrontare quella situazione senza di lui. Dopo tutto le donne è questo che fanno. Si appoggiano ad un uomo, lo sfruttano e quando non serve più lo lasciano per una nuova preda.
Perso in quei funesti pensieri non si rese conto di essere giunto a destinazione, finché non si ritrovò dinanzi alla porta di legno massiccio della baita.
Controllò l'ora, e fu contento di constatare che era a soli quindici minuti di cammino, con la macchina era impossibile raggiungerla. Entrò con facilità e verificò che ci fosse legna; la vide già nel camino, asciutta e pronta all'uso. Provvide pertanto ad accenderlo, in modo che quando fosse tornato con Bianca, la baita sarebbe già stata calda.
Finito di prepararla si fece forza e s'immerse di nuovo nella gelida neve, lasciando alle sue spalle il piacevole tepore del fuoco.
S'incammino affrettando il passo. Presto sarebbero stati entrambi al caldo.
Bianca sospirò di sollievo quando lo vide apparire in lontananza. La sua figura imponente si faceva largo tra i cumuli di neve.
Si era preoccupata per la prolungata assenza di Andrea, e non perché si trovava da sola in mezzo al nulla, ma per il terrore che gli fosse accaduto qualcosa e la sua impossibilità a prestargli soccorso.
Andrea si rifugiò nell'auto alla ricerca di un po' di calore, dopo il freddo patito in quel tragitto gelido come l'inferno.
- Stai bene? - domandò Bianca con voce tremula.
- Si. Non ti preoccupare è solo molto freddo. Ce la farai a seguirmi tra quella neve? - replicò con gravità.
- Non temere, non ti sarò d'intralcio - promise determinata guadagnandosi un sorriso divertito dell'uomo che le provocò uno strano turbinio nello stomaco, come se delle api avessero cominciato a ronzare impazzite.
- Allora in marcia -
Uscirono stringendosi con forza nei giacconi imbottiti, affondando nella neve.
- Metti i piedi nelle mie orme - urlò Andrea per sovrastare il vento.
Arrancando con difficoltà, Bianca lo seguiva timorosa di cadere e creare ulteriori problemi.
All'improvviso si sentì afferrare per un braccio e sorreggere sino alla destinazione.
Bianca entrò nel rifugio e si inginocchiò a terra per la fatica di quel breve tragitto.
Andrea le fu subito accanto.
- Tutto bene? - chiese preoccupato.
- Si. Sono solo stanca - replicò con un timido sorriso.
La aiutò ad alzarsi, e sorreggendola con delicatezza la guidò sino ad una sedia.
Al tocco di quelle mani calde Bianca rabbrividì di piacere; un imbarazzato rossore la colse per quella sua reazione così fisica, a cui non era abituata.
Andrea si allontanò immediatamente per andare a riattizzare il fuoco nel camino.
La mente in fiamme solo per quel tocco leggero.
Inaudito.
Con sospiro frustrato afferrò con rabbia l'attizzatoio e lo conficcò tra le braci ardenti, con violenza.
La osservò con la coda dell'occhio.
Bianca stava sfiorando con sguardo perso il punto in cui lui aveva toccato la sua pelle nuda.
Trattenne il fiato per la strana emozione che lo afferrò al petto.
Dopo quell'inizio non proprio promettente, le cose erano proseguite in silenzio, seppur tranquillamente. Avevano trovato un paio di scatolette e qualche galletta e, grazie a un piccolo fornellino, oggetto naturalmente tipico di posti come quello, avevano potuto consumare un pasto caldo, mentre fuori imperversava implacabile la bufera.
Ormai imbruniva e il timore di passare la notte lì stava diventando pian piano una certezza.
Il dialogo tra loro era minimo, ridotto all'indispensabile e a ciò che la buona educazione imponeva. Andrea era perso in strane elucubrazioni, ogni tanto, quando lei non lo vedeva, si trovava a osservare quella strana ragazza, così timida, timorosa, quasi anacronistica e più la osservava più si arrabbiava, se con se stesso o con lei, questo non avrebbe saputo dirlo. Bianca, dal canto suo, era intimidita e affascinata da quell'uomo così alto, così serio, ma che dava l'idea di una roccia, di qualcosa di solido e duraturo su cui contare per sempre...ma che andava a pensare? Smise di fantasticare e si avvicinò alla finestra, affiancandosi a lui e guardandolo dal basso, visto che la sovrastava di 30 cm buoni, prese il coraggio a due mani e gli chiese -Dottore...ehm...Andrea pensi che dovremmo restare qui stanotte?- Lui la guardò senza rispondere e lei comprese di aver fatto una domanda idiota e chiuse gli occhi nell'attesa di una risposta freddamente ironica che, però, non arrivò.
-Sì penso di sì... prima, quando sono venuto da solo, ho visto che in quella specie di cassapanca ci sono coperte e cuscini, ci arrangeremo preparando dei giacigli di fortuna e speriamo che domani la situazione sia tale da consentirci di ripartire, altrimenti...altrimenti non so vedremo il da farsi...
Notando che lei era un po' impallidita si corresse subito - Ma dai su, non pensiamo a domani, certamente la bufera si sarà placata e magari chissà, notando la macchina verranno a cercarci - Bianca ritrovò un po' di colore e lui fu felice di aver fatto l'ottimista, anche se con scarsa convinzione. In men che non si dica lei pulì e rigovernò le stoviglie usate per mangiare e cucinare e, insieme, preparano i "letti" per la notte che, visto che lo spazio era quello che era, erano divisi da una striscia di pavimento larga non più di una decina di centimetri. Dopo che ognuno ebbe provveduto alle sue necessità usando quello che, definire bagno, sembrava quasi comico, come per mutuo accordo, si infilarono sotto le coperte. Fuori era calata fitta la sera, era opportuno non sprecare l'olio della lampada e davvero non c'era altro da fare.
Erano passati circa venti minuti da quando si erano augurati la buonanotte che Andrea sentì come un suono soffocato, qualcosa di impercettibile, ma non stava dormendo e quindi lo udì chiaramente...dopo qualche secondo capì di cosa si trattava.
-Bianca... tutto bene? Non riesci a dormire?
-No, è che penso al fatto che non sanno che sono qui, che sto bene, avevo detto che chiamavo e invece... - il resto della frase svanì in un singhiozzo.
Andrea sospirò, erano in mezzo a una calamità naturale e lei si preoccupava degli amici che doveva raggiungere allo Chalet! Avrebbe fatto meglio a seguire il suo istinto e a non chiederle niente! Ma poi l'educazione, come sempre, prevalse - Su dai - azzardò cercandole una spalla a tentoni nel buio, anche se quando si accorse che era la testa non ritrasse né spostò la mano- I tuoi amici immagineranno di certo che hai avuto un contrattempo e forse ti stanno già cercando.
- I miei amici? - ripeté lei senza capire.
- Sì...insomma non parlavi di loro prima?
Bianca sorrise tra le lacrime e dolcemente disse - No mi riferivo ai miei nonni, che sono rimasti a Ivrea, dovevo telefonare appena arrivata, ma...adesso staranno in pensiero e io non vorrei mai si preoccupassero...loro mi hanno spinta a partire, io ecco vedi....faccio la cassiera e ho vinto questo viaggio tra tutti i dipendenti del supermercato...
I nonni? La cassiera? Un viaggio vinto? Decisamente ad Andrea era passato quel poco di sonno che aveva, in compenso gli era venuta una gran curiosità...
Un'ora dopo sapeva tutto di Bianca, della sua vita semplice, dell'amore assoluto per i nonni, del suo lavoro, di quell'indole buona e generosa che era venuta fuori da ogni parola...e di quanto lui si fosse sbagliato, di quanto, accecato dai pregiudizi e dal passato, si era condizionato al punto di figurarsi una persona opposta a quella che gli stava davanti. Qualcosa si mosse in qualche recesso sperduto di sé e senza che fosse sollecitato da nessuna domanda, ma solo perché gli andava di farlo, cominciò a parlare. Un'altra ora dopo Bianca sapeva che lui era un medico bravo e stimato, che lavorava in ospedale, che aveva dodici anni più di lei, e che, purtroppo, veniva da una storia finita malissimo, ma soprattutto seppe che, sotto una patina di freddezza, c'era un uomo serio, integro e gentile. Una roccia...
Parlare al buio era quasi come parlare a se stessi, solo le vibrazioni della voce restavano sospese nell'aria e solo quelle, senza alcun filtro, venivano ascoltate.
Era notte fonda quando si addormentarono.
Andrea con la mano ancora sulla testa di Bianca che, sotto quella mano, si riempì di sogni.
Appena il sole dell'alba filtrò dalle imposte si svegliarono. Dopo aver verificato che aveva smesso di nevicare, si prepararono in tutta fretta e decisero di ripartire. Si stavano, chissà perché, quasi evitando. Quella notte di confidenze al buio sembrava essere stata risucchiata dalla luce del mattino.
Prima di uscire, proprio sulla porta, Bianca si voltò a guardare l'interno di quella piccola stanza che non avrebbe mai dimenticato, quello che non sapeva era che Andrea, dietro di lei, stava facendo esattamente la stessa cosa.
Senza la neve a turbinare intorno a loro, il tragitto fino all'auto fu molto più agevole, ma altrettanto silenzioso. Nessuno dei due voleva ammettere l'apertura notturna. Rivelarsi all'altro, al buio, era stato quasi facile, un po' come un mezzo per soffocare pausa e disagio. Alla luce brillante del mattino sarebbe stato troppo reale.
La loro non era un'amicizia in boccio, né una storia agli albori. Erano due estranei, incontratisi per caso che cercavano di rafforzarsi della mutua presenza, per non disperarsi.
Dopo aver trovato l'auto poterono entrare e riscaldarsi presto, ma non ripartire subito. La neve era tanta e bisognava aspettare un attimo che l'impianto di riscaldamento e il motore scongiurassero gli eventuali problemi causati dal ghiaccio.
In quello spazio ristretto il silenzio diventava più pesante.
- Non ti senti un po' frenata dal vivere con due anziani? - la domanda gli era sovvenuta alle labbra senza pensarci. Ovviamente aveva continuato a pensare a lei e alla sua storia tutto il tempo, pur fingendo di non esserne colpito.
- Per nulla. Amo tanto i miei nonni, non li sento mai come un peso ma una forza.
- Beh ti fa molto onore - a quanto pare era davvero una ragazza di valori solidi, anche alla luce del giorno.
Avevano ripreso la strada quando anche Bianca trovò il coraggio di fargli una domanda, dimostrando di averlo ascoltato attentamente.
- Soffri ancora molto per la delusione? - non riuscì a guardarlo ma si accorse di aspettare trepidante la risposta.
- In realtà non soffro nei sentimenti ma nell'orgoglio. In quanto medico e professionista mi sono sempre sentito sicuro della mia capacità di giudizio, ma a quanto pare era solo illusione e vanagloria.
- L'amore cambia sempre tutto, soprattutto la percezione dell'amato.
- L'hai letto sui cioccolatini? - si pentì subito del sarcasmo immotivato. - Scusami Bianca, sembra che con te non faccia altro che trovare scuse alla mia aggressività.
- Questa volta non mi hai ferita, non ho molta esperienza, ma posso capire la tua reazione - gli sorrise timidamente, sempre senza guardarlo. - Non è una frase poeticamente vuota, ma un prezioso consiglio di nonna Gemma...
- Allora temo che sia anche saggio, anche se a quanto pare mi sono sbagliato anche su te.
L'arrivo a Pila le risparmiò il problema di trovare una risposta.
- Ecco siamo arrivati - arrestò l'auto e la guardò. E rimase leggermente sorpreso del rispecchiarsi in uno sguardo emozionato, di un viso arrossato, che non lo evitò.
Da bravo cavaliere la aiutò a scendere dall'auto ed anche con il bagaglio. Erano sulla soglia dello Chalet, mentre lui cercava il fattorino per chiedere aiuto e informazioni, la scorse guardare ammirata la hall, senza entrare.
Era sul punto di fare una battuta scherzosa sui bimbi golosi che ammirano la vetrina del pasticciere, quando scorse del vischio appeso alla cornice della porta, e, senza pensarci quasi, sfiorò il suo sorriso con il proprio.
Il fattorino, imbarazzato, aspettò la fine di quel tenero bacio, senza ben sapere come informarli della sua presenza.

Due anni dopo...
- Sembra impossibile che siano passati quasi due anni dall'ultima volta... - mormorò Bianca, stringendo tra le sue le mani del marito che da dietro le cingevano la vita, mentre ammiravano lo spettacolo del sole che spariva tra le montagne valdostane, in quell'ultimo scorcio di pomeriggio di fine dicembre.
Appoggiò la testa sul petto di Andrea e chiuse gli occhi, inspirando forte l'aria fredda e pungente e pensando a tutte le cose che erano cambiate nel frattempo...
Esattamente dopo sei mesi dal loro primo bacio si erano sposati, tra la felicità di molti e lo sgomento di qualcuno, ma a loro non importava. Andrea non avrebbe cambiato un capello di sua moglie, per lui era perfetta così com'era e lei adorava il marito che era e sarebbe sempre stato il suo principe azzurro...proprio come quello delle favole.
E, proprio come un principe, aveva provveduto alle cure per il nonno, che ora stava decisamente meglio, e al benessere delle due persone che Bianca amava di più, facendo in modo che non restassero mai sole, visto che la loro vita, per i suoi impegni professionali, necessariamente si svolgeva a Milano, anche se appena potevano andavano a trovarli. E quell'anno si sarebbero trattenuti anche dopo Natale, se Bianca non gli avesse espresso il desiderio di ritornare a Pila direttamente da Ivrea per trascorrervi il Capodanno.
- Ma dimmi un po', perché sei voluta tornare qui? Non che non mi abbia fatto piacere, lo sai che ti porterei sulla luna se me lo chiedessi, ma me l'hai detto all'ultimo momento e così all'improvviso che mi hai incuriosito - e così dicendo affondò le labbra nel collo caldo e morbido di lei.
Bianca si voltò, restando sempre nel cerchio delle sue braccia, e alzò lo sguardo e lui si perse in quegli occhi...quegli occhi dolci, immensi, pieni d'amore, quegli occhi che gli avevano ridato fiducia e felicità, che gli avevano reso qualcosa che aveva creduto perso per sempre. Quegli occhi che, in quel momento, gli sembravano più belli che mai...
- Ti devo dire una cosa. Sono voluta venire qui... perché... ehm... perché tra queste montagne è iniziata una fiaba, la nostra, ed è esattamente qui che volevo dirti che aspettiamo un bambino.
Andrea riuscì solo a dire “Amore mio” prima di abbracciarla forte, di stringere tra le braccia quella donna meravigliosa che adesso singhiozzava di felicità.
Aveva ragione Bianca, pensò portandola dentro senza staccarsi da lei, la loro era proprio una favola. Anzi, un miracolo, che, come il sole, aveva sciolto il ghiaccio che ricopriva il suo cuore e vi aveva fatto entrare gioia, fiducia e una mare d'amore per la sua piccola Cenerentola.


Giusy Libera Lilli


lunedì, 01 novembre 2010
Notte nera di Giusy, Liana e Libera


NOTTE NERA - Incubo ad Halloween
Campagna tuderte – Umbria – Notte di Halloween 2009
Erano insieme, come sempre dai tempi dei giochi d’infanzia, anche quella sera, all’avventura verso una festa di Halloween tra vecchie conoscenze. Il loro amico Christian, dopo anni di assenza, aveva fatto ritorno al paese natale per una vacanza, approfittando di quell’occasione particolare per rivedere tutti gli amici. Erano come sempre diversissime tra loro, per colori, look ed effetto visivo.
Gelsy, com'era nel suo stile, aveva optato per un aspetto seducente ma non ammaliatore, più simpatico che sconvolgente. Tutta in verde, dal cappellaccio, stile Minerva McGranitt, agli occhiali (e gli occhi ovviamente) fino al vestito e persino gli stivaletti scamosciati. Sembrava un elfo più che una strega. Indossava un miniabito verde bosco, dal corpetto aderente con scollatura a cuore, che metteva in risalto il seno prosperoso. La vita era sottolineata da una fascia crespa in verde ancora più scuro. La gonna, corta, il cui orlo era a un fiore capovolto, si appoggiava morbida sui fianchi. Molto truccata, per una volta nella vita, aveva deciso però di non mettere le lentine, pur avendo occhi molto particolari, per il vezzo, infantile, della montatura in tinta.
Nina per il suo costume si era ispirata a Crudelia Demon, a dire il vero, più per necessità che per scelta. Aveva recuperato un abito nero usato qualche Capodanno prima, che, con qualche sapiente taglio nei posti giusti, era diventato quasi sexy. Si era messa più bigiotteria e trucco di quanti ne avesse mai portati in tutta la sua vita e il suo bianco pellicciotto ecologico si era limitato a fare il resto. Debbie aveva insistito affinché mettesse le lenti a contatto e Gelsy le aveva striato i capelli di bianco con una bomboletta, forse il risultato non era male, tutto sommato, ma i sorrisi incoraggianti delle amiche non servirono a mitigare il suo imbarazzo. Certo, doveva portare tutta la notte i tacchi alti e non era abituata, ma non poteva certo sembrare una bimba fuori posto alla festa.
Per ora era contenta di riposare i piedini, stando in auto.
Debbie era stata indecisa sino all’ultimo momento, ma alla fine la sua natura dark aveva preso il sopravvento, nonostante Nina e Gelsy avessero fatto il diavolo a quattro per convincerla a cambiare look. Ma si era rifiutata di usare i ridicoli travestimenti che avevano proposto: fata della luna, infermiera sexy, e altri suggerimenti che aveva trovato assurdi. Si rendeva conto che le sue amiche volevano solo aiutarla, allargare i suoi orizzonti, e magari anche vendicarsi un po’ delle sue continue imposizioni. Doveva imparare a controllare questa sua tendenza ad impicciarsi troppo della loro vita. Ma come poteva esimersi dall’aiutare quelle che considerava delle sorelle?
Pertanto, alla fine, nonostante le loro insistenze aveva optato per il suo solito abbigliamento, che guarda caso si sposava benissimo per l’evento. Stivali a metà coscia in pelle nera, coprivano collant in microrete. Un abito a maniche lunghe stile impero in maglina nera, lungo sino alle caviglie. Il vestito aveva sul corpetto dei falsi bottoncini in argento, ma sbottonati da sotto il seno fino all’orlo; per non essere indecente, indossò una minigonna in pizzo nero, mentre una cintura di metallo argentato cadeva morbida sui fianchi, come una sciarpa, a cui erano agganciati ciondoli a tema esoterico: piccoli lupi, mezzelune, cappelli da strega, gatti. Completò il suo abbigliamento con un lungo cappotto di pelle nera. Sorrise soddisfatta allo specchio inforcò i suoi occhialini scuri, che portava in ogni occasione, sia di giorno sia di notte. Dopo di che si voltò verso le sue due amiche che la osservavano scrollando la testa esasperate.
Debbie guidava disinvolta la sua Ford Fiesta, come se fosse sicura della strada intrapresa, ma quel posto così isolato era anche fuori dalle cartine del navigatore. Le aveva portate a perdersi in quella campagna per poi zittirsi. Non voleva certo ammettere con le amiche che si erano smarrite.
Gelsy cercava disperatamente di capire qualcosa sulla mappa, ma continuava a rigirarla inutilmente.
Nina guardava il cellulare senza campo con gli occhi lucidi.
Proprio quando pensavano di girare e tornare indietro, sentirono uno scoppio e l’auto sbandò, ogni lamento e chiacchiericcio si zittì. Percependo lo sbigottimento e il timore di Debbie le altre due cominciarono ad urlare, riuscendo a rendere la loro amica ancora più impaurita. Per fortuna, giusto davanti ad una grossa quercia, Debbie riuscì a frenare e a fermare l’auto.
Uscirono tutte e tre e scoprirono che il copertone anteriore destro era scoppiato, ormai inservibile.
Per un minuto circa nessuna parlò, poi Debbie, risoluta come sempre, si diresse verso il cofano per prendere la ruota di scorta. Certo, l'idea della sostituzione non la allettava per niente, ma piuttosto che restare lì.
Tale fu la sorpresa quando aprì, che le uscì una specie di singulto.
Accidenti! Accidenti a suo fratello!
Sandro prendeva sistematicamente la sua auto, e, sistematicamente faceva qualche danno.
L'ultimo della serie, constatò amareggiata, era aver lasciato il cric in garage la settimana prima, quando l’aveva usato per l’auto di papà.
Gelsy e Nina nel frattempo si erano avvicinate e guardavano stralunate il visto esterrefatto di Debbie.
– Manca il cric ragazze, non possiamo neppure provare a cambiarla! – sbottò Debbie pensando a come avrebbe potuto torturare il fratello l’indomani.
Il vento si alzò e, leggerissima, iniziò a cadere qualche goccia di pioggia, preludio sicuramente di un temporale in arrivo.
Il lugubre verso del barbagianni riecheggio nella notte, foriero di sventure, mentre l’aria si faceva più fredda, come se dita gelide avessero sfiorato la loro pelle, facendole rabbrividire.
Erano bloccate in mezzo a quella campagna desolata e spettrale, così vicine alla civiltà eppure così lontane.
I cellulari non davano segni di vita e a perdita d'occhio non si vedevano che ettari di bosco, buio e fitto.
L'idea di restare in auto sperando che passasse qualcuno era assurda almeno quanto quella di andare da qualche altra parte.
-Lo sapevo... me lo sentivo che non dovevamo venire....che facciamo adesso? Io... io... - balbettò Nina sull'orlo delle lacrime, fifona com'era viveva quel contrattempo come un incubo.
Smarrita, guardava le amiche e tremava, non solo di freddo.
- Nina per favore! - sbottò Debbie - Abbiamo solo forato, vedrai che una soluzione la troviamo, ma niente panico ok?- anche se il suo tono non risultava molto convinto.
- Debbie, gomma forata mi sembra un eufemismo quando non credo potrai salvare neppure la ruota. Inutile stare a sottilizzare e poi...la conosci Nina, no? Non infierire dai. Adesso però... - qualunque proposta Gelsy fosse sul punto di avanzare, le si bloccò in gola.
Rimase muta, immobile, con lo sguardo fisso dietro le loro spalle, osservando qualcosa tra gli alberi.
Le altre due si girarono per capire cosa avesse attirato l'attenzione della loro amica.
Nina più lentamente e con timore. Ciò che videro le lasciò senza fiato. Chi erano quei tre?
Nina si coprì il volto con le mani, Debbie cercava di comprendere da dove fossero sbucati e Gelsy era ancora a bocca socchiusa, troppo incantata dalle maschere spettacolari di quei tre aitanti maschi, per pensare a qualcosa di razionale. Finché la paura che avessero cattive intenzioni non la fece tremare un pò.
Debbie rimase senza parole per la prima volta in vita sua. Davanti ai suoi occhi erano apparsi come per magia tre uomini mascherati per Halloween. Li osservò mentre si dirigevano con passo sicuro verso di loro. Il loro trucco era superbo, sembravano tre demoni scaturiti dalle tenebre infernali.
- WOW! Certo che vi siete dati da fare con quelle maschere - esordì Debbie ripresasi per prima da quell'apparizione.
- E voi tre che ci fate qui? - domandò seccato quello dalla parrucca rosso fuoco, anche se sembravano capelli veri da come era ben fatta.
- Questo dovremmo chiederlo noi. Tre uomini a piedi in mezzo al nulla. Non mi sembra molto normale - replicò sarcastica Debbie.
- Ragazza. Questo non è luogo per tre donne sole, specie in una notte come questa - rispose con condiscendenza l'amico tutto tatuato, osservando il cielo come a lasciar intendere che presto si sarebbe scatenato un temporale, di cui quella pioggerella era solo il primo segnale.
- Come potete notare abbiamo un piccolo problema, altrimenti non saremmo di sicuro qui al freddo e di notte - reagì caustica Debbie indicando la gomma a terra, togliendosi gli occhialini bagnati.
- Tipico delle donne mettersi nei pasticci nei momenti meno opportuni - sbottò acido il rosso che oltre ad essere arrogante aveva anche delle escrescenze sulla testa, come due corna.
- Non siete costretti a restare qui, continuate pure per la vostra strada - reagì Debbie furiosa, guadagnandosi una gomitata nelle costole da Gelsy e delle occhiatacce da Nina.
Era umiliante dover chiedere aiuto a quei tre. Per di più il terzo, con quella parrucca lunga sino al bacino striata di ciocche argentate, finora era stato in silenzio, lontano dei metri, con le mani in tasca ed evitava addirittura di guardarle.
Nel frattempo il gigante rosso e cornuto si era avvicinato, e con le braccia incrociate sull'ampio torace sembrava attendere che Debbie gli chiedesse aiuto, mentre il biondo tatuato ridacchiava del suo evidente disagio.
Debbie era colma d'ira, ma per amore delle sue amiche doveva assolutamente ingoiare l'orgoglio e chiedere assistenza.
- Comunque, sarebbe da criminali abbandonare al loro destino tre ragazze. Non trovate? - lo sfidò beffarda, per nulla intenzionata a cedere completamente, non si sarebbe mai abbassata a strisciare dinanzi ad un uomo.
- Nick, Narcan che dite, le aiutiamo? - chiese ai suoi amici.
- Namir, con una richiesta così gentile, come si può dire di no - replicò ironico Nick il tatuato.
Al sentirne la voce il battito di Gelsy accelerò. Calda e sensuale. Soprattutto molto calma, come chi non ha bisogno di alterarsi per ottenere quello che vuole. Senza farsi scorgere lo osservò di sbieco. Davvero affascinante. La pettinatura, si sperava dedicata alla notte speciale, sembrava perfetta per un quindicenne. Quei capelli, di un biondo purissimo, da sembrare oro, scolpiti dal gel in tante saette erano però l'unico tratto adolescenziale. Il fisico aitante da sportivo, forse nuotatore, il viso segnato da tatuaggi molto particolari (per l'occasione anche quelli?) erano adulti, mascolini e molto attraenti.
- Perché dovremmo aiutarle, se sono state così sciocche da mettersi nei guai, fatti loro - mugugnò Narcan, rimanendo sempre in disparte.
- Per favore ragazzi. Non abbandonateci qui da sole e senza auto. Scusate Debbie, ma reagisce sempre in questa maniera quando è spaventata - intervenne Gelsy, per paura che la situazione precipitasse.
- Gelsy, non devi pregarli, ne tanto meno scusarti per me. Ce la caveremo anche senza di loro - proruppe Debbie indispettita.
- E come? - chiese Nina con voce tremula.
Debbie la guardò vacua, e abbassò lo sguardo non sapendo cosa replicare.
- Bene. A quanto pare c'è qualcuno che riesce a metterti alle strette. Certo che sei proprio un peperino - la prese in giro Namir sorridendo strafottente.
Debbie lo fissò irata senza aggiungere altra benzina sul fuoco, mordendosi la lingua per non replicare a quell'ennesima sfida.
Non capiva il motivo, ma nel momento che aveva incrociato lo sguardo con quel tipo, erano volate scintille.
- Allora ragazzi, vediamo come aiutare queste tre giovani signorine a riprendere il loro viaggio - concluse Nick, decretando così che avrebbero cercato di risolvere il loro problema.
Dopo aver esaminato la ruota e l'auto in generale, Nick disse agli amici di andare a cercare qualcosa da sfruttare come leva. Sarebbe bastato sollevare l'auto solo da un lato, uno di loro nel frattempo avrebbe provveduto alla sostituzione.
- In Formula Uno nessuna usa il cric, faremo lo stesso - concluse il biondo
senza soffermarsi in spiegazioni e soprattutto senza perdere altro tempo; fece apparire un tronco adatto, di legno di ferro, nel bosco ed un masso con l'esatta curvatura per fare da fulcro. In modo che i suoi amici ritornarono indietro, con gli strumenti giusti, in un battito di ciglia.
- Pensate davvero di riuscire a sollevare l'auto così? - chiese Debbie con un sorriso caustico.
- Saputella dalla lingua biforcuta, guarda e stupisciti - la canzonò Namir.
- Debbie smettila di battibeccare e lasciali fare. Prima terminano prima ripartiamo - Gelsy, concreta come sempre, cercava di sedare l'amica, per non cadere in guai peggiori.
Nick posizionò il masso alla giusta distanza e si preparò ad usare la leva, per mascherare i poteri, chiese a Narcan di aiutarlo, anche se vedeva che l'amico era stranito. Chissà che pensieri assurdi stava percependo da quelle tre. L'unica normale sembrava essere l'elfo. Anche se era pallida e lui poteva comprenderne la paura. Almeno non tremava come l'altra e soprattutto non era una spina nel fianco come quella maliarda in nero.
Prepararono tutta l'attrezzatura, ruota di scorta compresa, accanto all'auto, in modo che Namir potesse fare il più in fretta possibile. Ad un cenno di quest'ultimo sollevarono il lato della Fiesta con la ruota scoppiata.
- Attenti a non rovinarmi la carrozzeria però. Non vorrete distruggermi l'auto invece di ripararla, vero? - Debbie continuava a stuzzicarli nonostante le stessero aiutando. Non ricevendo risposta da nessuno dei tre, indirizzò le sue rimostranze al rosso.
- Sicuro di essere capace di cambiare quella ruota in modo efficace? Prima che i tuoi amici scoppino e la mia auto si sfracelli al suolo?
Narcan si accorse delle prime volute di fumo uscire dalle orecchie di Namir e cercò di far avvicinare velocemente il temporale, nella speranza di raffreddarlo.
Invano Nina e Gelsy provarono a zittirla con occhiatacce e gomitate. Debbie continuò per la sua strada, un vero carro armato in assetto da guerra.
- E mi raccomando poi avvita bene i bulloni, non vorrei che alla prima curva ci ritroviamo con la ruota che si stacca e prosegue la sua strada senza di noi - ormai la ragazza aveva un solo obiettivo, ottenere una risposta da Namir.
- Senti un pò, maestrina dei miei stivali... - quella vipera abbassò gli occhi sulle sue gambe e angelicamente esclamò – Piuttosto bruttini direi...- . Fu troppo e fu la fine. Namir, dominatore del fuoco, perse il controllo e una scarica di energia si propagò dal suo corpo a l'oggetto con cui era a contatto: la ruota; che come una granita sotto il sole di ferragosto, si liquefece, bulloni e cerchione compresi, in pochi secondi.

Nick, che degli elementi governava la Terra e tutto ciò che la calpesta, comprese subito e lanciò un occhiata a Narcan, dominatore dell'elemento aria, che fece ciò che andava fatto, scatenando un temporale. Alzò l'indice sinistro e il fulmine, servile al suo Signore, cadde sull'auto. Si guadagnò un occhiata di assenso dai fratelli e si affrettò ad abbassare il dito. Usare così i propri poteri non era molto ortodosso, ma tutto era preferibile alla prospettiva che le tre si accorgessero che la ruota si era completamente disciolta tra le mani di Namir. Solo a quel punto Nick si costrinse a guardare le ragazze.
Incredule e allibite guardavano la Ford, o quello che ne restava... Quella con la pelliccia bianca inizio a singhiozzare nello stesso istante in cui Narcan si portò le mani alla testa, l'elfo si era aggrappata alla gotica, la quale si stava avvicinando a loro a passo di carica – Accidenti al temporale! Ci mancava solo il fulmine, la macchina è andata e ORA?- esclamò calciando quel che restava del fanalino anteriore.
I tre respirarono di sollievo. Se la più scaltra non si era accorta di quello che avevano fatto, allora era certamente sfuggito anche alle altre due. Sì perché non erano tre amici diretti a una festa. Le loro non erano maschere. Loro non erano umani.
Nick, Narcan e Namir erano tre dei quattro Ashdrakon, cavalieri degli elementi, governavano rispettivamente terra, aria e fuoco.
Mancava Norden, guerriero dell'Acqua Magica. Ma Norden non condivideva quelle uscite tra gli umani, pur se avvenivano solo due volte all'anno, il martedì grasso di Carnevale e la notte di Halloween, tra il 31 Ottobre e il 1 novembre. Uniche due notti in cui l'aspetto degli Ashdrakon poteva passare inosservato e confondersi con quello della gente comune mascherata per l'occasione.
Cosa avrebbero fatto adesso? Non avevano provocato loro lo scoppio della ruota, anzi, per dirla tutta, incontrare quelle tre era stata una vera seccatura, ma non potevano certo lasciarle lì in balia di chissà cosa, d'altronde Namir si sarebbe anche potuto controllare! E poi di quel bosco, delle creature che vi vivevano o transitavano erano custodi e responsabili, avendolo scelto come luogo della loro Hasmet, la loro dimora. Se a questo si aggiungeva tutto quello che gli avrebbe detto (e fatto) Norden e la pioggia che aveva preso a cadere sempre più fitta, non c'era che una soluzione: dovevano provvedere a quelle tre, insolite, umane.
Nina, stretta nella sua pelliccia zuppa d'acqua, guardava ora le amiche ora i ragazzi. Coraggio e sangue freddo non erano nel novero delle sue virtù e una paura senza nome la stava divorando, rendendo i suoi pensieri unidirezionali e convulsi.
Per favore, fa che non ci lascino qui da sole. Ti prego, non voglio restare qui, non con questo freddo, il buio, la pioggia e...
- No che non vi lasciamo qui! - Proruppe d'improvviso il gigante pallido, guadagnandosi un occhiataccia dagli amici - Cioè....ehm....volevo dire... sarà il caso di trovare riparo - cercò di ricomporsi.
Ognuno degli Ashdrakon aveva poteri e facoltà particolari. Narcan era quello dei quattro che, tra le altre cose, leggeva nelle menti umane e i pensieri di quella umana gli arrivavano forti, precisi e rapidi come la freccia di un comanche.
Finalmente la ragazza parlò e quel flusso elettrico diminuì di intensità
- Debbie, Gelsy e ora? -
Nick osservò il viso dell'amico arrossire d'imbarazzo. Chissà quelle ragazze cosa pensavano ci fosse dietro quell'affermazione. Sicuramente ispirata dalle paure della piccolina, sembrava tremare di puro terrore.
- Possiamo andare alla casa abbandonata, dietro quegli alberi - affermò pacato come sempre. - E' molto vicino, ci fornirà un tetto e delle mura per non bagnarci. Ma non garantisco altro.
-Potreste indicarci come arrivare ed andarvene per la vostra strada - rispose Debbie, con il solito tono indisponente - ci avete già procurato abbastanza guai!
-Questo è il ringraziamento per avervi cambiato la ruota ed aver rischiato la pelle - sbottò Namir.
Per poco Narcan e Nick non scoppiarono a ridere.
- Dai Debbie facciamoci accompagnare almeno - Gelsy cercò di calmare l'amica, con scarsi risultati.
- Debbie potremmo almeno vedere prima la casa, hanno detto che è abbandonata. Potrebbe essere pericolosa - mormorò Nina, per farsi sentire solo dalle amiche. Ignara che tutto quello che pensava veniva ascoltato da Narcan.
Nick parlò prima che l'amico combinasse un altro guaio - Iniziamo ad avviarci che qui ci bagniamo inutilmente. Una volta lì ne riparliamo. OK? - e subito si avviò senza attendere risposta.
Lo seguirono tutti, senza parlare, cercando di muoversi più velocemente possibile, senza inciampare, cadere o andare a sbattere su un albero.
Apparve all'improvviso, illuminata dalla luce abbagliante di un lampo.
Spettrale, oscura, solitaria.
Sembrava un monito a tornare sui propri passi e non un invito a riscaldarsi tra le sue mura.
Si avvicinarono circospetti, guardandosi attorno, aspettandosi da un momento all'altro che qualche folle armato di ascia si lanciasse urlando dalla porta staccata dai cardini e si scagliasse contro di loro urlando.
Un fulmine cadde con violenza e il suo rombo risuonò cupo nella notte come l'urlo di cento demoni scatenati.
Decisero che era meglio rischiare all'interno, all'asciutto, che continuare a girovagare per la campagna sotto quel temporale.
Debbie guardò la facciata della casa diroccata, per nulla convinta di entrare in quel luogo che sembrava uscito dagli incubi di uno sceneggiatore di film horror. Un mostro a due piani, che tra le ombre appariva come un viso grottesco, dove il portico dalle asse sconnesse assomigliava ad un sorriso maligno e le finestre scardinate degli occhi crudeli.
In quella notte infernale, l'immaginazione giocava brutti scherzi, e l'effetto ottico di quelle finestre rovinate dal tempo e dall'incuria, era inquietante.
Namir e Nick giunsero per primi nei pressi del portico, e si bloccarono di colpo sotto gli sguardi sorpresi delle ragazze.
- Non entriamo? Qui si gela - protestò Debbie stringendosi nel cappotto di pelle.
- Potrebbero esserci delle brutte sorprese lì dentro. Dopo tutto è disabitata, chissà chi può aver trovato rifugio tra queste mura - replicò Namir provocatorio.
- Ha ragione Namir. Io e Nick andremo a controllare, mentre voi resterete qui. Faremo in fretta - intervenne Narcan desideroso di allontanarsi anche se per pochi istanti da quei pensieri bersaglianti che gli stavano bucando il cervello.
Cosa hanno in mente quei due? Vogliono davvero controllare l'interno oppure progettano qualcosa.
Il pensiero di Debbie arrivò alla mente di Narcan limpido e tagliente come una coltellata. Cercò di allontanarsi in fretta da quelle sorgenti di dolore.
Speriamo che non ci siano animali schifosi che strisciano.
La timida Gelsy riuscì a trasmettergli la sua ancestrale paura. Narcan si catapultò all'interno della casa prima di percepire altre angosce.
Ma non riuscì a sfuggire del tutto alle preoccupazioni di Nina.
Mi sento più tranquilla in sua presenza...
Rimanendo con la curiosità di sapere a chi si riferisse. Forse a Namir che era rimasto lì con lei.
- A quanto pare gli spettri di tutto il vicinato si sono dati appuntamento per un party proprio in questa casa - sussurrò Nick, osservando la desolazione di quella stanza, che un tempo era il soggiorno.
- Come faremo ad impedire che quelle tre se ne accorgano? I fantasmi sono dispettosi per natura - replicò sommesso Narcan.
In quel momento apparve una nebbia densa e lattiginosa, che si addensò dinanzi al camino spento. Con lentezza cominciò a prendere forma, e pian piano si rivelò uno spettro dall'aspetto panciuto. Non molto alto, con una tuba in testa e un bastone da passeggio, che fluttuava nell'aria.
- Ashdrakon - sputò come se fosse un insulto. - Cosa ci fate in casa mia senza invito? -
- Ci siamo rifugiati per sfuggire al temporale. Ci sono tre umane con noi, vi chiediamo pertanto di evitare di palesare la vostra presenza - spiegò con gentilezza Nick.
- Umaneeeeeeee!! - uggiolò felice lo spettro. - Avremo un pubblico - e con quelle parole scomparve in uno sbuffo di nebbia, mentre il rumore di catene invase la casa, come un'osanna per il regalo che era stato depositato dinanzi alla loro porta.
- Ho la vaga impressione che non ci daranno ascolto - esordì con sarcasmo Nick.
- Siamo nei guai - continuò Narcan con tono sconsolato.
Rassegnati a dover affrontare una nottata insonne e difficile, si diressero verso l'uscita per dare il via libera ai compagni.
- Entrate sembra tutto a posto. A parte la desolazione e il senso di abbandono - invitò Nick nascondendo con abilità le sue preoccupazioni e lanciando uno sguardo di monito a quello interrogativo di Namir, prima che aprisse bocca.
- E' disgustoso - affermò Debbie entrando in punta di piedi, tenendo sollevato l'orlo dell'abito e osservando con faccia schifata l'interno sporco e inospitale.
- Ci perdoni principessa per non aver potuto riservarle una suite - replicò sarcastico Namir.
Quella ragazza è irritante come il gesso che stride sulla lavagna. Insopportabile.
- Nessuno ti ha interpellato rosso. La mia era una constatazione, a meno che tu non viva in una stamberga. In tal caso comprendo le tue rimostranze - ribatté ironica Debbie.
Quel gigante cornuto è fastidioso come un foruncolo sul di dietro. Insopportabile.
Narcan non riuscì a trattenere un sorriso a quei pensieri. Incredibile. Non erano d'accordo su nulla tranne che su quello che pensavano l'uno dell'altra.
- Per favore, evitiamo di farci la guerra tra di noi. Siamo sulla stessa barca e dobbiamo collaborare - intervenne Gelsy cercando di calmare gli animi, anche perché sembrava che Namir fumasse dalle orecchie, letteralmente. La ragazza batté le palpebre e quando riaprì gli occhi il fumo era scomparso. Doveva essere stato un gioco di luce.
- Gelsy ha ragione. Dobbiamo pensare a come passare la notte. Abbiamo un camino. Troviamo della legna, così potremmo riscaldarci. Pertanto consiglio di dividerci e perlustrare la casa - concordò Nick cominciando a organizzarsi come era nel suo carattere.
- Co...come ci..ci divi..divi...dividiamo? - balbettò timidamente Nina, nascosta dietro Debbie.
- Sarebbe meglio fare tre gruppi da due. Io e Gelsy, Nina e Narcan e Namir e Debbie. Non possiamo mandare le ragazze da sole ad affrontare l'ignoto - propose Nick guadagnandosi lo sguardo riconoscente di Gelsy e diffidente di Debbie.
- A mio avviso anche voi tre siete un'incognita. Dopo tutto siete sbucati dal nulla e ci avete condotte qui - fece notare pungente Debbie, per nulla convinta che quei tre non stessero macchinando qualche tiro mancino. Non si era immaginata quegli strani suoni provenire dalla casa quando quei due erano entrati.
- Principessa, non credere che stia facendo salti di gioia al pensiero di stare in tua compagnia - sbottò Namir per nulla contento di essere bloccato in quella baracca in compagnia di tre umane strane e bizzose.
- Ehi rosso, puoi tranquillizzarti, il sentimento è reciproco. Sei l'ultimo uomo con cui vorrei ritrovarmi in questo momento - sibilò velenosa stringendo i pugni per controllare il desiderio di graffiare quella faccia indisponente.
- BASTA! - urlò Nick mentre la pareti tremarono leggermente.
- Il te...te...terremoto - singhiozzò spaventata Nina stringendosi a Debbie e Gelsy con forza.
- E' solo caduto un fulmine qui vicino, state tranquille - intervenne Narcan.
- Scusate se ho alzato la voce. Adesso cerchiamo di smetterla e diamoci da fare. Ci serve legna, coperte, qualcosa da bere, insomma qualunque cosa troveremo. Io e Gelsy andremo in cantina. Narcan e Nina esploreranno questo livello, mentre Namir e Debbie al piano di sopra. State attenti a dove mettete i piedi. E' una casa vecchia e instabile - senza attendere risposta prese con gentilezza Gelsy per un gomito e cominciò a cercare la porta che conduceva in cantina.
Nina si avvicinò titubante a Narcan che la osservò freddo e distante mettendola a disagio.
Senza dirle una parola le fece cenno di seguirlo.
Namir e Debbie si fronteggiarono come cani davanti ad un osso.
- Evita di darmi ordini. Evita di starmi troppo vicino. Evita di parlarmi - esordì furiosa dopo di che si girò e si diresse verso le scale senza preoccuparsi se il rosso cornuto la seguisse o meno.
Odiosa umana arrogante. Ma prima che la notte fosse finita avrebbe trovato il modo di farla stare zitta. Con quei pensieri funesti Namir la seguì.
I pensieri di quella donna gli stavano mandando il cervello in pappa, accidenti a lei!
 Ok ragazza, sappi che non voglio ucciderti, non voglio strangolarti, nemmeno gettarti nel camino, men che meno stuprarti, in tasca non ho né pistole né pugnali, Namir non sta facendo a pezzettini Debbie al piano di sopra e Gelsy non è diventata la cena di Nick in cantina, eh si i rumori che senti alla tua destra sono proprio sospiri, un uomo morto 128 anni fa, per la precisione, ti sta praticamente alitando sul collo, lo so, le altre ti darebbero della stupida ma tatatatata sei l'unica che ci ha preso, solo che non lo saprai mai, uscirai da qui viva e vegeta, ma forse morirò io se non la smetti!
Quanto gli sarebbe piaciuto urlarle tutto questo! Ma non poteva perché Nina quelle cose le stava solo pensando.
Narcan leggeva nel pensiero degli umani solo al verificarsi di due condizioni concomitanti e cioè che l'umano si trovasse a non più di 5 metri da lui e che fosse preda di emozioni forti. Se la sua mente ora era in tilt era perché quella dannata ragazza gli stava appiccicata, seguendolo ovunque con un margine di non più di 30 cm e perché era assolutamente, totalmente e irrimediabilmente terrorizzata.
Passi che fosse costretto in quella casa della malora con quelle tre umane, passi che per questo non si era potuto godere una delle sue due uniche sere di libertà, passi anche che le presenze della casa in questione avevano già "dichiarato guerra" agli invasori e sarebbe andata sempre peggio, ma perché di quelle tre gli era dovuta capitare proprio lei?
Narcan stava liberando il camino da tutte le più disparate cose che col tempo e l'incuria si erano depositate nel vano, occludendolo completamente, quando lei gli disse -Io ehm...non ho capito come ti chiami...-
Guardami, parlami, dimmi qualcosa... per favore.
- Narcan. Mi chiamo Narcan- rispose senza voltarsi, ma interrompendo per un attimo le sue incombenze
Che bel nome... quasi soprannaturale...
- Merda!-
- Come scusa?-
- Dicevo... niente lascia stare-
L'ho fatto arrabbiare, è irritato me lo sento, io non volevo....ma perché faccio sempre la cosa sbagliata?
Ok, se non voleva rischiare un collasso nervoso, doveva fare solo una cosa. Farla parlare. Ma, visto che lui era un taciturno per natura e che lei parlava, quando lo faceva, come se fosse sotto tortura, non sapeva quale alternativa fosse la peggiore. Finì di liberare il camino più in fretta che poté e si voltò verso di lei, ma rimase per un attimo interdetto. Era la prima volta che la guardava veramente.
La pioggia aveva scolorito il bianco dei capelli che, dritti e bagnati, le si erano incollati al viso. Le labbra le tremavano e il nero che le colava dalle palpebre, avanzava pigro su quel volto pallido in cupe linee discendenti. Quella maschera disfatta stava rivelando i suoi occhi, grandi e buoni, dilatati dalla paura e con una sclera bianchissima. E lui li vide. Per la prima volta. Forse perché lei li teneva sempre bassi o più semplicemente perché aveva evitato persino di guardarla, troppo occupato a gestire, deviare e schivare i suoi pensieri.
- Il tuo nome è Nina, vero? - Piccolo e dolce come te.
- Si-
- Che ne dici di toglierti quella pelliccia fradicia e di...-
OH DIO!
- Ferma...cioè ascolta. Ti do il mio soprabito, è di pelle, sarà un pò grande, ma almeno non ti verrà un polmonite!- si affrettò ad aggiungere più in fretta che poté.
- Sei gentile...ma non vorrei...poi avresti freddo tu -
- Tranquilla- le rispose togliendosi la giacca e mettendogliela tra le mani un pò malamente
Nina la appoggiò su un sedia, si tolse la pelliccia e si infilò in quell'antro morbido e caldo. Profumato di lui.
Mmmm che buon profumo che hai Narcan.
Anche tu.
Nina si grattò la fronte perplessa, una zanzara le doveva essere appena passata vicino, aveva sentito un ronzio vicino alla testa.
Una folata di vento gelido si alzò, facendo scendere la temperatura, già fredda, della stanza di molti gradi.
- Narcan che succede? -
- Niente Nina, l'aria fredda di fuori sta entrando dalla canna fumaria, adesso che non è più ostruita all'estremità, vedi? - e le indicò il camino sgombro.
Ma l'aria di fuori non c'entrava niente, e lui lo sapeva. E lo seppe ancora di più, quando vide tre entità incorporee girare ora vorticosamente ora lentamente intorno alla ragazza.
- Narcan... - Non posso dirtelo, non mi crederesti, mi prenderesti per pazza…
- Vieni qui - e le tese la mano.
Lei la prese e lui la tirò verso di sé, abbracciandola. Lo fece perché il vento che si sprigionò da lui, per allontanare quegli spiriti della malora, non avrebbe travolto anche lei, che in questo modo non si sarebbe accorta di nulla. Ma gli spettri si erano dissolti e lui era ancora lì.
Vorrei essere diversa...vorrei avere il coraggio di...
Di cosa?
Un urlo straziante interruppe tutto. Pensieri e ronzii.


Perché diavolo si ritrovava in coppia con il cornuto non riusciva a capirlo. Debbie sbuffando irritata lo lasciò indietro e si diresse verso la prima porta chiusa, e la aprì di scatto. E rimase senza parole.
Due scheletri stavano ballando un valzer al centro della stanza al suono di un pianoforte. Solo che non c'era nessun pianoforte.
Inviperita si girò verso il suo compagno guardandolo furente sussultando quando si accorse che era a pochi centimetri da lei, ma non sarebbe arretrata per niente al mondo.
- Cosa significa questa pagliacciata? - lo accusò senza mezzi termini intenzionata a non lasciarsi intimidire dalla sua stazza.
Dannazione! Perchè doveva essere così affascinante anche con quello stupido travestimento.
Namir osservava con le labbra tirate le ossa ballerine, imprecando tra i denti. La rabbia prese il sopravvento, e lente volute di fumo cominciarono a uscire dalla orecchie e dalla testa, sotto gli occhi sbalorditi di Debbie. Accorgendosi dello sguardo allibito della ragazza riuscì a riprendere il controllo, e mentre lei era rivolta di spalle alla stanza incenerì il contenuto riducendolo in polvere.
- Non capisco di cosa stai parlando - replicò derisorio.
Debbie si girò di scatto e rendendosi conto che la musica era scomparsa come gli scheletri ballerini.
Stava impazzendo.
- Li ho visti. E ho sentita la musica. Non puoi non essertene accorto. E' tutto orchestrato per divertirvi alle nostre spalle - lo attaccò furibonda.
- Debbie, in quella stanza non c'è nulla. Sei solo stanca, e spaventata - la irrise beffardo.
La ragazza per nulla convinta, gli puntò un dito all'altezza del torace, pungolandolo con forza.
- Se dovesse accadere qualcosa alle mie amiche, giuro che te la farò pagare, dovessi impiegarci tutta la vita, ma ti farò pentire di essere venuto al mondo - lo minacciò implacabile.
Namir sorrise divertito davanti a quel vuoto avvertimento scatenando la rabbia di Debbie che cercò di schiaffeggiarlo.
L'uomo la fermò prima che giungesse al suo viso, la spinse contro il muro bloccandole le braccia in alto con una sola mano.
Debbie rimase impietrita davanti a quella reazione. Lo fissò gelida, mentre una sottile paura cominciava a serpeggiare dentro di lei.
- Ora basta - ordinò Namir gelido.
- Lasciami andare immediatamente. Sei solo un bulletto da quattro soldi, che si diverte a spaventare le donne - lo provocò per nulla intenzionata ad arrendersi, cominciando a dimenarsi per liberarsi da quella stretta ferrea.
Namir la inchiodò al muro con il suo fisico prestante, impedendole in quel modo ogni ulteriore movimento, ma rendendola consapevole del suo corpo premuto contro di lei.
- Che tu sia maledetta - ruggì quasi con disperazione prima di calare sulla sua bocca famelico.
Debbie rimase pietrificata, mentre vorace prendeva possesso delle sue labbra, la sua lingua cercò quella di lei, che non riuscì a resistere a quel duello di fuoco.
Sembrava che il suo cuore fosse impazzito mentre lava incandescente scorreva nel suo corpo in fiamme.
Namir era eccitato, l'unica cosa che riusciva a pensare in quel momento era di potersi immergere in lei come in quella bocca sensuale che lo faceva dannare ogni volta che profferiva parola. Ma in quel momento concepiva solo il desiderio violento che era riuscita a scatenare in lui.
Era così da quando aveva posato gli occhi su quella femmina umana presuntuosa e collerica.
La strinse con più forza non rendendosi conto che le aveva lasciato andare le braccia.
Debbie non riusciva più a pensare se non a quel bacio infuocato che aveva scatenato una tempesta ormonale, si strinse a quel corpo muscoloso non sentendosi abbastanza vicina, sentiva la sua erezione contro il bacino e non riuscì a resistere alla tentazione di strusciarsi, soddisfatta quando senti il gemito di piacere di Namir.
Erano talmente immersi nel loro mondo di sensualità che il grido agghiacciante che invase la casa li fece trasalire, risvegliandola dal suo sogno erotico.
Debbie si rese conto di quello che aveva appena fatto e arrossendo per l'imbarazzo fuggì via come se avessi il diavolo alle calcagna, incurante del richiamo di Namir.
La scala che portava in cantina era al buio, ma quello tetro e scuro che non produce ombre. Nick aveva creato una fiaccola, almeno illuminava passo passo lo scalino da scendere, per non ruzzolare giù. Per Gelsy però continuava ad essere una tortura, nonostante le rassicurazioni di Nick sull'assenza di topi, serpenti, ragni e quant'altro le sue paure la portavano a sentire. Perché vedere era umanamente impossibile. Per una ragnatela attaccata ai capelli stava per svenire! Continuava a parlare, come per darsi coraggio, anche se cercava di non lamentarsi perché dopotutto era molto curiosa di scendere ad esplorare quel posto. Quanti tesori potevano essere nascosti lì, dimenticati. Finché Nick decise che uno scalino al minuto era davvero troppo e le disse di incollarsi alla sua schiena. Bel corpo, solido e compatto, trasmetteva al suo un bel calore. Quel tipo l'aveva affascinata fin dal primo momento, quel tepore rassicurante la seduceva un po'.
Se non mi calmo penserà che sono una gatta in calore... decisamente da evitare!
Arrivati giù, iniziarono a guardarsi intorno, alla luce della fiamma.
- Ma il vino imbottigliato scade? - chiese ingenuamente la ragazza.
- Al massimo diventa aceto - le rispose lui con un sorriso.
Decisero di portare su due casse vuote, destinate al camino, un'altra con qualche bottiglia di Merlot del 1919 per accendere il fuoco ed un Brunello di Montalcino del 1891. Proprio una settimana prima, Gelsy aveva visto una bottiglia, dello stesso vino e della stessa annata, venduta sul web a 25.000 euro.
Mentre si chinava per prendere il carico che le spettava, qualcosa le solleticò una caviglia. Con un balzo si rialzò e trovò rifugio in Nick. Gli sarebbe letteralmente saltata in braccio, se lui non avesse avuto una bottiglia in mano. I riflessi pronti del maschio, per fortuna, scongiurarono un disastro di vetri rotti e quant'altro. Posò il vino e la strinse forte. Cercando di rassicurarla le diede un bacio sulla fronte, scostandole il cappellaccio. Lei lo lasciò cadere dietro le spalle e nascose il viso nel suo collo. Nick l'abbracciò ancora più forte, sollevandola da terra.
- Cosa ti ha spaventato, piccola? - le chiese premuroso.
- N-non s-so - balbettò lei. - Qu-qual-co-sa m-mi ha s-s-sfiorato l-la ca-viglia. Gelsy tremava così tanto, da non riuscire a parlare con naturalezza.
- Ti riporto su e poi ritorno a prendere le bottiglie e le casse- disse Nick con un po' di riluttanza. Gli piaceva averla tra le braccia.
- T-tienimi ancora un p-po' st-stretta- gli mormorò all'orecchio.
In quell'istante Nick si eccitò. Ma non voleva certo spaventarla ancora di più. Quei maledetti fantasmi sicuramente stavano gongolando da qualche parte. Avevano anche intuito come sfruttare il suo terrore per una determinata fauna, per spaventarla.
Essere tra le braccia di Nick era davvero magico, ed al diavolo tutto... pensasse pure che era una ragazza leggera. Intanto però si sentiva al sicuro, protetta. Le paure si dissolvevano in una sensuale sensazione di sicurezza. Avvertire le sue braccia attorno al corpo le faceva desiderare di toccarlo, pelle contro pelle. Lei che di solito era tanto timida da sembrare imbranata, aveva voglia di lasciarsi andare e dimenticarsi di tutto il resto. A partire della brutta sensazione alle caviglie, come di un piumino che la sfiorasse, che era ricominciata non appena Nick l'aveva rimessa a terra. Appena la liberò dall'abbraccio il senso di protezione e smarrimento dei sensi svanì. E Gelsy urlò così forte da restarne stordita lei stessa.
Nick riprese ad accarezzarla, strofinandole la schiena, mentre teneva lontano i fantasmi con la telecinesi. Adesso iniziavano ad esagerare.
- Ho capito, prendi in mano la bottiglia di Barolo e una di Merlot - le disse perentorio e Gelsy gli obbedì frastornata. Nick la riprese poi in braccio, portando le casse vuote in una mano. Solo due visto il dolce carico, per non rischiare di inciampare o di farsi scoprire ricorrendo al potere. Salirono le scale con attenzione, soprattutto perché lui voleva tenerla tra le braccia il più possibile. Prima di ritornare in sala però, la rimise a terra con gentilezza, dandole un dolcissimo bacio a fior di labbra. E Gelsy quasi tremò.
- Nina? NINA?! - Debbie corse via, quasi incespicando per le scale, temendo che quell'urlo provenisse dalla sua timorosa amica. Chissà Narcan cosa le aveva fatto. Quei tre avevano in mente qualche scherzo e lei era la vittima perfetta, facilissima da spaventare.
- Debbie sei stata tu a gridare? - Nina era accorsa ai piedi delle scale appena aveva distinto la voce dell'amica che la chiamava. Indossava il giaccone in pelle di Narcan e sembrava ancora più dolce e impacciata, ma non impaurita. La ragazza finì di scendere i pochi scalini rimasti e l'abbracciò, lasciandola sconcertata.
- Che è successo? Non è da te gridare così, non sei mai preda del panico - chiese in tono concitato Nina.
- Ma non ho gridato io, nulla oltre il tuo nome scendendo. Credevo fossi stata tu – rispose Debbie.
- E' vero è più nel mio stile, ma sinceramente io... - non completò la frase preda di un dubbio subitaneo.  - Sarà stata Gelsy? - chiese in un sussurro, - è ancora giù in quel buco scuro insieme a Nick -.
- Il vostro complice sicuramente sta terrorizzanto Gelsy con qualche trovata - Debbie si rivolse a Narcan con rabbia. - Che scherzo sta facendo alla mia amica il tuo compare, rosso? Ovviamente coinvolse nella sua irata accusa anche Namir, che era accorso subito dietro di lei -.
In quel momento, spuntarono Nick e Gelsy, che si sorridevano.
- Perchè quelle facce spaventate? Avete avuto anche voi incontri ravvicinati con topi e ragni? - esordì tranquilla Gelsy. Nick aveva posato il loro carico in sala e a stento tratteneva il bisogno di abbracciarla. Continuava a vedere il fantasma che l'aveva spaventata prima girarle in tondo una spanna sopra la testa. Ma non sapeva come eliminarlo. Fece l'occhiolino a Namir, che subito lo incenerì.
- Ma allora non sei stata tu a lanciare quell'urlo agghiacciante? - Nina non riusciva a rassicurarsi della serenità di Gelsy.
- Quale urlo? Certo prima ho gridato tanto da stonare me e Nick, qualche topo aveva deciso di camminarmi tra le caviglie. Però non pensavo fosse giunto fino a voi senza essere smorzato. - Gelsy non riusciva a spiegarsi quell'assurdità.
Deve avere l'acustica di una cattedrale questa casa.
Narcan colse il pensiero e cercò una spiegazione plausubile.
- Deve essere stata una civetta allora. Non ci sono finestre chiuse in questa casa e siamo in messo ad un bosco - mentre dentro di lui pensava che quei fantasmi stavano davvero esagerando.
Basta tergiversare, li congelerò ad uno ad uno appena li vedo. Lo pensò con tale furore che quasi gli uscì un ringhio.
- Io direi di spostarci tutti in sala, il divano non sarà comodo ma abbiamo un po' di legna - propose Nick.
- E Narcan ha liberato il camino - aggiunse Nina guardandolo timida.
- E' un'ora che sogno il calore di una bella fiamma - Nina si avviò con gli altri avvolta da un impeto di ottimismo.
Mentre i Nick e Namir armeggiavano con il Merlot e le casse vuote, per mascherare che rosso accendesse il fuoco con i suoi poteri, Narcan aiutò le ragazze ad eliminare un po' di teli, rigidi di polvere, dall'arredamento. Almeno per potersi sedere comodamente.
- Nonostante tutto, siamo riusciti ad accendere il camino - disse Gelsy con un sospiro. - Per me nulla riscalda l'ambiente più di un bel fuoco.
- Eh sì avevo proprio freddo prima, almeno fino a quando... - mormorò Nina, lasciando la frase in sospeso e guardando Narcan che le restituì uno sguardo strano.
- Forse Gelsy intendeva un altro tipo di calore - affermò Nick con un sorrisetto ironico. - L'ideale adesso sarebbe un buon bicchiere di vino e l'atmosfera sarebbe completa.
- Io però non me la sento di aprire un tale cimelio - osservò Gelsy indicando la bottiglia di Brunello sul camino. - E non mi fido di un Merlot che abbia più di 10 anni.
- Potremmo venderla noi. Quanto hai detto che vale Gelsy? - propose Debbie guadagnandosi uno sguardo sprezzante di Namir a cui rispose con una linguaccia, ancora turbata per quanto era accaduto al piano di sopra.
- Non essere venale, non si vendono i ricordi o i cimeli. Comunque una simile la quotavano più o meno 25000 € su un sito per esperti - le rispose l'amica ridendo per quello scambio di gentilezze, Debbie era la solita provocatrice.
- Come torneremo a casa? - piagnucolò Nina di punto in bianco. L'atmosfera si era fatta certo più rilassata, ma non erano spariti disagi e paure legati a quella strana situazione. Narcan la guardò, lui che poteva scatenare un uragano solo alzando un dito, si sentiva impotente di fronte a quel terrore, non riuscendo a trovare un modo per tranquillizzarla... ci provò lo stesso, anche se non aveva mai funzionato con nessuno in passato.
Nina calmati, ci sono io qui con te, non succederà niente, niente che ti possa fare male, non finché sarò vivo.
Lei smise di tremare e un pò di colore tornò sulle sue guance. Lo guardò, per istinto, senza capire. Ma lui comprese. Aveva raggiunto il suo scopo. Ne era felice e sconvolto. Per la prima volta un pensiero era uscito dalla sua testa per infilarsi in quella di un essere umano che, seppur inconsciamente, l'aveva recepito. Merda!
Non l'aveva certo ipnotizzata o condizionata in qualche modo, non ne era capace, voleva solo che le arrivasse il suo conforto, ma non voleva esprimere quella rassicurazione ad alta voce...poi chi li avrebbe retti i fratelli? Lui non era un tipo, come dire, socievole...
Namir notò lo sguardo sofferente dell'amico, stava per scoppiare, quella situazione era dura per lui che assorbiva come una spugna tutte le emozioni e i pensieri delle persone.
- Narcan andiamo a fare un altro giro per verificare se possiamo trovare qualcos'altro da bruciare, potrebbe esserci sfuggito qualcosa prima. Nick resti tu con le ragazze? - al cenno d'assenso dell'amico, si alzò da terra spazzolandosi i pantaloni dalla polvere sotto lo sguardo sospettoso di quella piccola vipera di Debbie, che però fu l'ultimo viso su cui posò gli occhi prima di lasciare la stanza.
Anche Nick aveva intuito il disagio di Narcan ma, suo malgrado, non riusciva a staccarsi troppo da Gelsy. Come avrebbe fatto a non cercarla più dopo l'alba?
Le ragazze si guardarono smarrite e a disagio, c'era ancora una cassa intera con dentro i pezzi di altre due smontate. Tutta legna da bruciare. Che aveva Namir da dire a Narcan lontano dalle loro orecchie?
- Ehi fratello tutto ok? - fece Namir a quest'ultimo una volta fuori.
- Sì ora va meglio... è che non so come dirtelo, quasi sicuramente non mi crederai... - ma fu interrotto da Nick che, affacciatosi sulla porta, esclamò:
- Meglio che rientrate, ce ne deve essere sfuggito uno...
Al rientro i tre trovarono Debbie, Gelsy e Nina con gli occhi fissi al camino. La fiamma ondeggiava tremula e ipnotica, riproducendo contorni di volti terrificanti. Erano atterrite.
Narcan non ci pensò su due volte, chiuse gli occhi e spense il camino.
- A-avate v-visto anche voi? -
- Cosa Nina? - le chiese Namir
- Cosa? COSA? Mi prendi in giro?- proruppe Debbie - A che gioco state giocando? Fate parte di una setta? Cos'è questa una goliardata, dove alla fine ci si dovrebbe fare una risata? - Continuò furiosa e spaventata. Ormai le sembrava impossibile che non fossero tutte macchinazioni organizzate ad arte e che per loro sfortuna c'erano finite in mezzo.
- Calma – fecero Nick e Gelsy contemporaneamente, prima di guardarsi... un po' troppo.
- Su dai Debbie - continuò Gelsy - questa non è stata una notte come le altre, ho letto un libro in cui si parlava di una cosa simile... potrebbe essere suggestione collettiva... -
- Sarà... - fecero in coro le altre due.
A quel punto ci voleva qualcosa per distoglierle, meglio riaccendere il fuoco e continuare a chiacchierare come prima, almeno finché non avesse fatto giorno.
Solo che Namir, di riflesso e senza pensarci, lo accese semplicemente schioccando le dita.
Quello non poteva essere un gioco, uno scherzo o un artificio di qualche natura, pensarono le ragazze simultaneamente.
Il fuoco un attimo proprio non c'era, e subito dopo scoppiettava rumoroso.
- Mi spieghi che diamine sta succedendo qui? - sibilò Debbie avventandosi contro Namir.
- Ferma! - le gridò Gelsy cercando di raggiungerla e trattenerla in qualche modo, ma inciampò nella cassa e sarebbe caduta a faccia in giù, se Nick, senza neppure rifletterci, non avesse usato la telecinesi per rimetterla tranquillamente seduta sul divano, beh forse tranquilli non lo erano, nessuno dei due.
Lo guardò di nuovo, cercando di capire, di dare un senso anche alla sicurezza che provava al suo solo contatto.
Ma... cosa siete? Perché ci volete fare del male....Narcan? Pensò Nina raggelata dalle scene di poco prima.
- Non ti farei del male nemmeno se fossi costretto! - Nina lo guardò e realizzò che per tutta la sera quell'uomo, o....quello che era, non aveva fatto altro che rispondere alle mute domande della sua mente.

In pochi minuti quella stanza era diventata una specie di buco nero che risucchiava nel suo interno denso le paure di ognuno.
La forza di attrazione era tale che tutti, seppur per motivi diversi, ne erano attratti, respinti e avvinti. Il respiro, condensandosi in nuvole opache, li ricopriva come un velo deformante e, come un requiem, era l'unico rumore percepibile. Terrore, dubbio e sconcerto... ma un'unica, comune, certezza. Quella notte, quella strana, magica, terribile notte, era tutt'altro che finita...

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